La sentenza in argomento fissa importanti principi sulla spettanza del risarcimento e sulla determinazione del danno nel caso in cui la p.a. ostacola lo svolgimento di una attività imprenditoriale, con l’adozione di atti dichiarati illegittimi dal Giudice amministrativo.
L’adozione di atti illegittimi consente l’accesso alla tutela risarcitoria, soprattutto quando si incide negativamente sull’affidamento del privato, rispetto a un precedente provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica ed in forza del quale il privato fonda una precisa strategia imprenditoriale.
La novità della pronuncia è sul criterio di quantificazione per la liquidazione del danno nel caso in cui la p.a. non consente l’esercizio di un attività imprenditoriale.
La finalità generale e prioritaria dello strumento risarcitorio è essenzialmente compensativa: in altre parole, lo scopo è di reintegrare la sfera giuridica del danneggiato, ponendolo, in attuazione del cd. principio di indifferenza, nella situazione in cui si sarebbe trovato senza il fatto illecito.
La società, nel caso esaminato, ha chiesto il risarcimento del danno da mancato guadagno commisurato al tempo durante il quale, a causa dell’illegittima adozione degli atti da parte della p.a., non ha potuto svolgere la propria attività imprenditoriale: tale danno è stato ritento dal Giudice di Appello meritevole di integrale ed effettivo risarcimento.
I Giudici di Appello hanno rimarcato la necessità di considerare “l’impatto economico effettivo” dell’attività amministrativa, di qualsiasi tipo (legittima o illegittima), nei confronti delle iniziative private: il danno va quantificato considerando la sua effettiva portata, che non può che ricondursi al danno massimo sopportato dal privato per la illegittima attività dell’amministrazione: il mancato funzionamento dell’impianto produttivo, il mancato svolgimento dell’attività d’impresa, il mancato percepimento dei guadagni.
Proprio poiché il danno da risarcire va commisurato, ad avviso del Collegio, alla integralità del pregiudizio economico subito, è stato ritenuto che tale riconoscimento – in assenza di ulteriori voci di danno (come, ad es., il danno da fermo cantiere) – abbia carattere assorbente di ogni altra richiesta, di tipo sia indennitario che risarcitorio.
I Giudici di appello hanno riconosciuto, così, il danno da mancato guadagno commisurato all’impossibilità di svolgere la propria attività imprenditoriale ed hanno richiamato a fondamento, per l’accoglimento della domanda, l’art. 1223 c.c., in base al quale è risarcibile il danno “conseguenza immediata e diretta” dell’illecito.
Secondo l’orientamento dominante tale formula sarebbe espressione del criterio della c.d. causalità adeguata, secondo cui devono ritenersi risarcibili, anche, le conseguenze indirette e mediate dell’illecito, purché normali, prevedibili e non anomale.
A giudizio del Collegio, rientra, pertanto, nelle conseguenze immediate e dirette il pregiudizio consistente nel mancato introito dei guadagni ricavabili dall’attività commerciale, poi, effettivamente attivata sull’area; il mancato introito deve essere correttamente parametrato al ritardo con il quale è stata avviata l’attività, ovvero al periodo nel quale, a causa dei provvedimenti illegittimi dell’amministrazione, la società non ha potuto disporre dell’area.
Nel caso di specie l’illegittima apprensione dell’area da parte dell’amministrazione ha ritardato la realizzazione del progetto in titolarità della società privata, impedendo la percezione dei relativi frutti per circa un biennio; è stato ragionevolmente ritenuto che senza l’occupazione illegittima, la società avrebbe terminato i lavori due anni prima e, perciò avrebbe conseguito maggiori guadagni corrispondenti a due anni di attività ‘a regime’ (avendo dovuto comunque scontare, con due anni di ritardo, un periodo di primo avviamento, con ricavi comprensibilmente inferiori).
I Giudici di appello hanno accolto la richiesta di risarcimento ed hanno affermato che il danno effettivamente patito può essere complessivamente determinato in via equitativa facendo riferimento a due intere annualità ” di utili a regime “; ciò in quanto avendo il danneggiato già di fatto scontato sui bilanci dei primi esercizi di attività gli oneri legati alla fase iniziale di avviamento dell’attività, l’utile da considerare deve essere proprio quello “a regime”.
La sentenza in argomento ha statuito di determinare il danno subito nell’importo pari alla somma degli utili ante imposte, risultanti dai bilanci depositati relativi agli esercizi biennali di riferimento, dovendosi a tal fine intendere per “utile ante imposte” il risultato del conto economico, depurato da proventi e oneri straordinari, così come risultante dal conto economico ai sensi dell’art. 2425 c.c. (A – B +/- C +/- D), riguardante il ramo d’azienda riferibile alla gestione dello stabilimento balneare per il quale è causa; su tale somma andranno calcolati interessi e rivalutazione, secondo le regole ordinarie, a decorrere dal momento in cui tali utili avrebbero potuto essere prodotti fino al saldo.
avv. Domenico Vitale
avv. Gabriele Vitale