Con recente sentenza del 18 gennaio 2023, il Consiglio di Stato ha chiarito in quali ipotesi è consentita la ristrutturazione di un edificio crollato intesa quale demolizione e ricostruzione.
Il Giudice Amministrativo di secondo grado ha rammentato che la demolizione di un edificio quale regola generale determina l’eliminazione, fisica e giuridica, della volumetria esistente, di modo che la ricostruzione dell’edificio medesimo è, sempre in linea di principio, preclusa nel caso in cui, in epoca posteriore alla realizzazione dell’edificio preesistente, entrino in vigore nuovi strumenti di governo del territorio (id est: piani regolatori, ma anche piani paesaggistici) i quali impediscano la realizzazione di nuove costruzioni.
A tale assunto fa eccezione, in presenza di determinate condizioni, il caso in cui la demolizione sia seguita dalla ricostruzione.
E’ noto che prima della entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001 le varie tipologie di intervento edilizio erano individuate dall’art. 31 della L. n. 457/1978 – secondo cui erano interventi di ristrutturazione edilizia “quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”: tale norma è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che “la nozione di ristrutturazione edilizia, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi, dovendo essere altrimenti l’intervento qualificato come di nuova costruzione (Consiglio di Stato; Sez. IV, 9 luglio 2010, n. 4462; Sez. IV, 5 ottobre 2010 n. 7310; Sez. IV, sentenza 10 agosto 2011, n. 4765, Sez. IV, sentenza 4 giugno 2013, n. 3056; di recente, con riferimento sempre al periodo di vigenza della legge 457 del 1978, Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3153)” (Cons. Stato, Sez. II, n. 721 del 2 febbraio 2022). 10.2.
Con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001, l’art. 3, comma 1, lett. d) ha sostanzialmente recepito tale principio, includendo tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”, in tal modo facendo rientrare nella categoria della ristrutturazione edilizia anche la ricostruzione del fabbricato “fedele” nella volumetria e nella sagoma, non necessariamente anche nella tipologia.
Giova sottolineare che l’inclusione della demolizione seguita dalla “fedele” ricostruzione tra gli interventi di ristrutturazione edilizia si fondava sul presupposto che la ristrutturazione edilizia costituisse una tipologia di intervento edilizio che presupponesse la preesistenza e la conservazione di un edificio, che si intendesse rinnovare o modernizzare; come tale il tratto distintivo della ristrutturazione edilizia era costituito dall’esistenza, tra l’edificio preesistente all’intervento e l’edificio risultante dall’intervento, di una relazione di continuità, tale da essere percepita esternamente e da giustificare l’affermazione secondo cui l’edificio preesistente continua ad esistere anche dopo l’intervento di ristrutturazione, (conseguendo da ciò, tra l’altro, che gli oneri di urbanizzazione pagati con riferimento all’edificio originario possono essere riconosciuti e portati a scomputo all’atto del rilascio del titolo edilizio che autorizza la ristrutturazione: sul punto si veda, ad esempio, Cons. Stato, Sez. VI, n. 2294 del 7 maggio 2015: “Alla qualificazione dell’intervento come di ristrutturazione edilizia consegue che dal contributo per gli oneri di urbanizzazione doveva essere scomputato l’importo imputabile al carico urbanistico generato dall’edificio preesistente”).
Questa particolare relazione di continuità, tra edificio preesistente ed edificio risultante dalla ristrutturazione, implicava, con specifico riferimento alla ristrutturazione attuata attraverso la demolizione e ricostruzione, non solo il rispetto della volumetria, della sagoma e degli elementi distintivi, ma anche il fatto che le due operazioni, cioè la demolizione e la ricostruzione, avvenissero in un unico contesto, cioè senza soluzione di continuità, comportando che la ricostruzione fosse già programmata al momento della demolizione, o del crollo spontaneo, dell’edificio da ricostruire.
La modifica legislativa di cui all’art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. n.69/2013 ha inciso proprio su questo punto, modificando l’art. 3, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, come segue: “….Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria [e sagoma] di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonche’ quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche’ sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”.
La norma, così come modificata, ha di fatto intaccato il requisito della continuità consentendo di ricostruire un edificio “preesistente” con diversa volumetria e sagoma; tale aspetto è stato ulteriormente accentuato con le ulteriori modifiche apportate dal D.L. n. 76/2020, che ha incluso nella ristrutturazione gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti “con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.
Ma l’art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. n. 69/2013 ha inciso sul requisito della continuità anche consentendo di realizzare, come ristrutturazione edilizia “gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche’ sia possibile accertarne la preesistente consistenza”, cioè gli interventi in cui la ricostruzione/ripristino non è necessariamente già programmata al momento in cui l’edificio preesistente venga demolito o crolla, potendo sussistere una soluzione di continuità tra i due eventi: l’intervento di ricostruzione, infatti, in tal caso riguarda (non già un “edificio preesistente”, ma) un edificio crollato o demolito, e in tal caso la continuità che si perde sul piano temporale viene recuperata, dal legislatore, con la reintroduzione del limite costituito dal rispetto della “preesistente consistenza” del fabbricato non più esistente; é da ritenersi che con tale precisazione il legislatore abbia inteso affermare la necessità di rispettare, nel nuovo fabbricato, la volumetria del fabbricato crollato o demolito: tanto si evince anche dal raffronto con l’ultimo periodo dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001, che nella vigente versione vigente all’epoca, specificava che nelle zone soggette a tutela ai sensi del D. L.vo 42/2004 e nei centri storici (zone A ex D.M. n. 1444/68) l’intervento consistente nella demolizione seguita dalla ricostruzione poteva essere autorizzato come ristrutturazione edilizia solo se nella ricostruzione “sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”, mentre nella versione attuale occorre che nell’edificio ricostruito “siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.
In definitiva l’art. 3, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, all’epoca in cui veniva adottato l’atto impugnato includeva, ed include tuttora, nella ristrutturazione edilizia tre tipologie di demolizione e ricostruzione: (i) una connotata dalla unicità del contesto “temporale” di realizzazione dei vari interventi, con rispetto della volumetria preesistente; (ii) l’altra caratterizzata, all’opposto, dal fatto che la ricostruzione/ripristino risultava indipendente dalla demolizione, con possibilità di realizzare i due interventi anche a distanza di tempo, ma anche in questo caso con la necessità di rispettare la “preesistente consistenza”; (iii) da ultimo la demolizione seguita da ricostruzione in zone tutelate, connotata dal rispetto della “preesistente consistenza” indipendentemente dalla contestualità, o meno, dei due interventi, con la precisazione che a partire dalle modifiche introdotte nel 2020 il legislatore ha richiesto, in tal caso, il rispetto di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”, cioè una ricostruzione assolutamente “fedele” all’edificio preesistente.
Ciò premesso, il Giudice Amministrativo ha rilevato che le previsioni di cui all’art. 30 del D.L. n. 69/2013 si applicano, come esplicitamente stabilito al comma 6 della norma medesima, “dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
E’ dunque escluso che la norma possa avere una applicazione retroattiva, in specie per quanto concerne i suoi presupposti: ciò significa che le nuove fattispecie di ristrutturazione edilizia trovano applicazione se in ed in quanto i fatti presupposti si siano inverati, tutti, nel vigore delle nuove disposizioni. Di conseguenza, deve ritenersi che solo in relazione ad edifici crollati o demoliti in epoca successiva alla entrata in vigore della legge n. 98/2013, di conversione del D.L. n. 69/2013, è possibile che ne sia assentita la ricostruzione (non contestuale) come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, come modificato dall’art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. n. 69/2013.
Ne consegue che, quando la demolizione o il crollo di un edificio non sia seguita, nel medesimo contesto temporale, dalla ricostruzione dell’edificio, devono ritenersi opponibili all’interessato le previsioni, entrate in vigore in epoca successiva alla demolizione o al crollo, che precludano la realizzazione, sul relativo fondo, di nuove costruzioni o di nuovi volumi.
Ciò in quanto, in tale ultima ipotesi, quel legame di continuità che caratterizza gli interventi di ristrutturazione è molto più labile, e, soprattutto, viene ad esistenza solo a posteriori, cioè a seguito della scelta del privato di ricostruire l’edificio crollato o demolito tempo prima: fintanto che l’interessato non manifesta l’intenzione di procedere alla ricostruzione nella realtà fisica il fabbricato non esiste più e quindi non può essere percepito come entità “virtualmente” ancora presente. Pertanto, le norme che, a vario titolo (urbanistiche, tutela del paesaggio, etc.) intervengono dopo la demolizione o il crollo dell’edificio, disciplinando l’uso del suolo in modo che la realizzazione di nuove costruzioni o di nuovi volumi non sia più consentita, devono ritenersi opponibili al proprietario del fondo, e quindi preclusive anche di interventi di ristrutturazione nel senso che qui si sta considerando, trattandosi di norme che legittimamente (e prima ancora logicamente) sono partite dalla considerazione del fondo come sgombro dai volumi che si intendono ricostruire, e sulla base di tale considerazione hanno espresso una scelta.
Avv. Domenico Vitale
Avv. Gabriele Vitale